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La pizza più cara d’Italia: te la racconto io
La pizza più cara d’Italia si chiama “Antonius Musa”, con caviale e oro commestibile 23 kt, ed è realizzata dalla Corte dei medici. Scoperta dal giornalista Fabio Giuffrida, del Corriere della Sera, ha suscitato un vespaio di polemiche e un clamore mediatico dovute a questo:
“Effetto Starbucks” e pizza
Una pericolosa deriva sta colpendo il mondo della ristorazione che si può chiamare “effetto Starbucks”. Questa catena mondiale di ristorazione, nota per il caffè e il cappuccino, grande azienda, grande marketing, bravissimi, complimenti, offre però delle taglie di prodotti che si possono definire, con tranquillità, debordanti. Cappuccini da un litro, caffè enormi, bevande calde offerte in secchi, non in bicchieri, e così via.
Questo virus si sta diffondendo, allo stesso modo, nella variante “all you can eat”, formula deleteria e dannosa.
Pizza, sete e impasti fatti come si deve
Molti pensano sia “normale” bere molto o passare una notte travagliata in seguito ad una serata in pizzeria. E pensano sia colpa del «troppo sale» o «troppo lievito» o delle farciture esagerate.
Ma no, non è assolutamente normale e non è colpa loro.
O meglio, sicuramente giocano un ruolo importante nella fase di digestione, ma non sono i principali indiziati.
Il principale indiziato è un impasto «non maturo».
La PIZZA è tradizione o modernità?
Dilemma eterno ma, lo diciamo subito, tra le due, scegliamo la seconda.
Quando nacque, la pizza era un piatto modernissimo, una novità assoluta. L’innovazione in particolare fu l’uso del pomodoro come condimento. Ricordiamo infatti che per diversi anni dopo che il pomodoro fu portato in Europa dalle Americhe nel XVI secolo, molti europei credevano che fosse velenoso (come varie altre piante del genere Solanum a cui appartiene). Un piatto quindi innovativo che guadagnò così tanta popolarità da diventare “tradizione”. L’innovazione da cui nacque venne cioè cristallizzata: in Margherita, Marinara, ecc. I grandi classici.
L’UNESCO ci ha messo del suo, premiando la pizza napoletana come patrimonio dell’umanità, dando il via a quella che i Media hanno dipinto come una grande conquista nazional-popolare, una vittoria per il settore tutto e soprattutto per il cliente finale.
Ma è proprio così?